Io speriamo che me la cavo

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26/01/2022

Questa volta non è il titolo di un film. Questa volta non è la personificazione di Raffaele Aiello in un tema elementare in cui il messaggio, alla fine, è di speranza. È uno stato d'animo. È una condizione di ascesa verso qualcosa di più profondo. È il pesce che cerca di eludere la rete da pesca, la sua trappola, la sua condanna. 

Spesso crediamo che vivere in una bolla sia la condizione più felice. Se in una bolla hai tutto quello che ti serve, a che serve il contatto con gli altri? Eppure, è disumano pensare che possa davvero essere così. Il nostro sistema cognitivo non è programmato per isolarsi. Noi non siamo nati per vivere una vita al di fuori del contatto umano. Perché è l'interazione che ci tiene vivi, che modifica i nostri comportamenti, che ci permette di comprendere le dinamiche individuali e di gruppo, che ci consente di cooperare per un bene comune, uno scopo sovraordinato. Ma, allora, perché affannarsi tanto se, alla fine, ciò che conta è solo emergere, dimostrare la propria forza, essere sempre i più furbi perché tanto nessuno ci conosce realmente?

Semplice: noi siamo il pane che gli altri ci danno. Se tutto ciò che puoi mangiare è solo una fetta di pane duro, ma attorno a te hai persone che ti donano incondizionatamente il loro pane buono allora tu puoi vivere, mangiare, continuare a lavorare per costruirti un futuro migliore. C'è un proverbio popolare che recita "fai del bene e scordatene". Mai frase, forse, è stata più sbagliata. Perché dimenticare la bontà, la genuinità, la naturalezza di un gesto verso un'altra persona che, in fondo, è così simile a te? Certo, lo scopo è anche giusto: incitare a dare senza pretendere di avere qualcosa in cambio. Ma, da qualunque gesto, noi ricaviamo sempre qualcosa: che sia un'emozione positiva, o il tempo che riceviamo. Il dare è sempre un ricevere e il ricevere presuppone l'atto del dare. Esiste tra di loro un'interdipendenza positiva: nessuno esce sconfitto, tutti appagati. 

Eppure, spesso ci dimentichiamo che dalle situazioni complesse si esce insieme, unendo le forze e il destino in una direzione comune. Puoi essere anche il migliore uomo sulla terra, ma se non sai interagire rimani, appunto, solo uno fra tanti. Ed essere uno fra tanti non ti permette di fare la differenza. Per fare la differenza, devi creare tu stesso la differenza. E, la vera differenza, va fatta innanzitutto davanti a sé stessi, almeno davanti a sé stessi: ascoltare il proprio corpo, i propri bisogni, le proprie paure permette di entrarci, di avere il controllo e agire nel mondo e per il mondo. 

Questa situazione di assoluta instabilità inizia a stare stretta a tutti. La vita è diventata liquida, scivolosa, e senza salvagente finisci per annegare. Ecco perché il vero salvavite, più che salvagente, dovrebbe essere il coraggio. Martin Luther King disse

Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.
Martin Luther King

Anche se la paura non sempre è in grado di far emergere il coraggio, esiste un antidoto che, se usato con costanza, è quasi infallibile: la forza di volontà. Se vuoi, puoi. Non è una frase fatta. La volontà permette di farti esprimere al meglio le tue potenzialità, lì dove tu vedi solo fallimenti. 

Io speriamo che me la cavo è, allora, un invito. Un inno a credere quando nessuno crede più. Un inno a sperare anche quando la speranza sembra ormai sterminata. Un inno alla vita, alla rinascita, al ritorno alle radici che ci possono nutrire. Un inno a non avere più paura. Un inno a guardarci allo specchio senza più remore. E se non possiamo avere nient'altro, che almeno ci resti un briciolo di forza per andare avanti