Sul vocabolario della Treccani, alla parola restanza si legge: "in senso proprio e figurato, ciò che resta e permane". Proprio qualche settimana fa uscì un articolo di giornale in cui si parlava di questo famigerato fenomeno, dove due giovani su tre decidono di non abbandonare la loro terra di origine o di ritornarci. Non è questione di nostalgia, non è questione di malinconia. Ma di coraggio. Coraggio di guardare in faccia la realtà, di puntare bene i piedi per terra, di capire cosa resta e cosa va via. Coraggio di essere presenti a tutte le assenze che ci portiamo dentro.
È ormai ben noto come l'uomo, da secoli addietro, sia stato un nomade in cerca di nuove terre dove poter continuare a vivere, a coltivare, a mandare avanti la propria stirpe. E, anche quando si è trasformato in sedentario, non tutte le radici che ha piantato hanno dato i loro frutti. Perché, per crescere bene e in forza, ci vuole solo un po' di adattamento. Può mancare l'acqua, può non esserci il sole per giorni, può piovere o nevicare, ma l'adattamento non deve mai mancare. Se ti adatti resisti, dai forza alla tua forza, superi il tuo limite e diventi migliore di ciò che sei. Se ti adatti ti accontenti, sì, ma ti accontenti di non accontentarti della tua condizione. Ti accomodi sulle spine, sapendo che sono pungenti, che ti farai male. Ma è il dolore, fisico o psicologico, che ti accompagna in una nuova fase della vita, tira fuori il meglio di te lì dove tu vedi solo il peggio.
Esiste una parola inglese, satisfice, che deriva dall'unione di due termini: satisfactory, che significa soddisfacente, e sufficient, che significa sufficiente. Satisfice è la capacità di scegliere un percorso o un obiettivo che è abbastanza buono, piuttosto che cercare all'infinito e invano un obiettivo sempre migliore. Innumerevoli percorsi di crescita personale danno in pasto milioni di guide, a costi anche eccessivi, per migliorare tanto e in poco tempo. La verità è che non esiste nessun miglioramento che si possa fare in poco tempo. E, soprattutto, non esiste nessun miglioramento che possa essere fatto senza la nostra volontà, la nostra presenza, il nostro volerci essere in tutto e per tutto. A volte falliamo nei nostri obiettivi perché semplicemente siamo già soddisfatti e, dentro di noi, sappiamo bene che è solo una perdita di tempo.
Piuttosto, sarebbe più utile capire su cosa dedicarci davvero, a cosa dare importanza, cosa ci può portare frutti nell'immediato o nel lungo termine. Potremmo scoprire che basta così poco, che possiamo gioire stando fermi, che possiamo essere grati anche non andando dall'altra parte del mondo. Siamo nati per essere al mondo, per affacciarci sempre a nuove esperienze, per amare, sognare. Ma siamo nati anche per piantare le radici, per ritrovare noi stessi nei frutti che raccogliamo, per amarci lì dove nessuno può arrivare. Come disse Ashleigh Brilliant
È facile arrivare e ripartire; quel che è difficile è rimanere.
Ecco, la restanza è la voglia di rimanere. La restanza è il desiderio di non scappare da cosa ci può fare paura: un futuro inesistente, un lavoro che fatica ad esserci, una vita precaria e proletaria che ci scaccia dai luoghi del cuore. Ma la restanza è anche ironia, è capacità di reinventarsi, è la forza di chi decide di costruirsi il futuro con le proprie mani. La restanza sono i fischi che prendi dietro per le tue scelte, sono gli sgambetti che ti fanno scivolare. La restanza è l'esistenza di chi c'è e rimane nonostante tutto. È la presenza che non nega la sua firma all'assenza di chi, invece, decide di andare via.