Gli inverni durano sempre tanto, forse troppo. C'è chi, nel freddo nebbioso, ci trova un tempo per la riflessione, il silenzio, la messa in pausa del mondo. Poi, però, arriva il momento in cui quel mondo lo devi guardare, la messa in pausa finisce. Torni al punto di partenza, pronto a scattare, pronto a staccarti da tutto ciò che per mesi ti ha bloccato. Un po' come la primavera, che nasce dalle tenebre di un lungo inverno, ma brilla ogni anno sempre di più.
La vita dovrebbe essere il post più virale di tutti, la tensione più forte che ci sia. Il diritto alla vita, decantato da migliaia di persone nelle ultime settimane, dovrebbe essere libero, e senza vincoli: ciascuno dovrebbe poter scegliere come e quando viverla, la sua vita; ciascuno dovrebbe poter scegliere soprattutto dove vivere la sua vita. Perché, non sempre il luogo in cui si nasce è lo stesso luogo in cui poter vivere. A volte, partire è l'unico modo, l'unico modo per vivere rischiando la stessa vita, l'unico modo per garantirsi un futuro, per sperare che almeno ci possa essere, un futuro. Eppure, c'è chi, poi, pensando sia un gioco, si diverte a rimescolare un po' le carte, a scegliere chi far vivere e chi far morire, come se quelle stesse persone, partite solo con una mancia di speranza, non fossero uomini e donne come noi.
A volte il mare non basta. Il mare non basta per seppellire il dolore, il buio, le lacrime. Le lacrime diventano parte di quel mare, gocce a cui affidarsi per essere più vicini ai corpi sepolti chissà dove, lasciati morire chissà perché. Non è solo negligenza, ma qualcosa di molto più grave, molto più profondo: l'indifferenza. L'indifferenza che, al giorno d'oggi, regna sovrana. L'indifferenza che toglie esistenza a chi, invece, vorrebbe continuare ad esistere, affermare la propria presenza anche davanti a chi, quell'appello, fa finta di non sentirlo. Forse, è uno dei mali del secolo, un male subdolo che viene spacciato per bene. Migliaia di volte si sente dire che il miglior antidoto contro la cattiveria sia l'indifferenza.
Ma, l'indifferenza rende ciechi, sordi, e a lungo andare anche muti. Perché non è reprimendo, o facendo finta di non vedere, che si combatte il problema. Il problema resta lì, aspetta senza fretta. Più viene represso, più si alimenta, cresce, fino ad incombere sulla testa, fino a diventare una nuvola nera che ti porta a vedere la pioggia lì dove c'è soltanto il sole. E, quel sole rischia di non splendere più, quella luce rischia di essere sempre meno calda, meno accogliente, meno presente. Allora, non resta che svegliarsi, e farlo anche il più in fretta possibile. Non resta che armarsi di carta e penna, e spuntare tutte quelle presenze rimaste assenti per tanto tempo.
Non si tratta di coraggio, né serve il coraggio. Il coraggio è solo la scusa che ci raccontiamo per non agire, per rimandare ciò che ci fa paura. Il coraggio non è qualcosa che si ha, o non si ha. Il coraggio è qualcosa che nasce. Nasce nel momento in cui ti decidi a fare quello che più ti spaventa. Nasce nel momento in cui smetti di raccontartela, questa scusa. Nasce nel momento in cui guardi in faccia il problema, e smetti di sentirti tu, il problema. Una frase di Ray Bradbury recita:
Salta! E mentre cadi lascia che ti spuntino le ali.
Le ali non ti crescono mentre pensi se sia giusto o meno saltare, se sia rischioso o meno farlo. Le ali ti crescono mentre stai già saltando: sono il tuo dono nascosto, quel coraggio che tanto speravi di avere, ma che, in realtà, già avevi, senza saperlo.
La primavera non è coraggiosa, e non si spaventa se l'inverno tarda a finire. La primavera fa quello che sa fare, sempre e comunque: rinascere. Perché si rinasce rinascendo, non aspettando di trovare il coraggio per farlo. La primavera fa rifiorire anche gli alberi più secchi, anche i prati ingialliti. La primavera fa rifiorire anche noi, i nostri sguardi, le nostre vite. La primavera rischiara anche il mare, porta i suoi raggi di sole dove noi non possiamo arrivare, dove nemmeno l'indifferenza ha attecchito. La primavera porta la sua rinascita anche a chi, quella rinascita, non ha avuto modo di vederla.